Lapis specularis
"Il vetro di pietra" in Italia: testi, documenti, immagini
Trasparenze antiche dalle città Vesuviane:
frammenti di lapis specularis da Pompei e da Ercolano
Pompei ed Ercolano, pur essendo cittadine dell’Italia meridionale e godendo di un clima mite, per la loro vicinanza al mare, erano esposte al vento e alla brezza marina, specialmente in inverno.
Esaminando la planimetria delle domus salta subito all’occhio dell’osservatore che la distribuzione degli ambienti verteva spesso su ampi spazi porticati (peristilia) che circondavano giardini (viridaria), sui quali si affacciavano le varie stanze della zona estiva della casa: cubicula, triclinia, oecus ecc. La zona invernale della domus si sviluppava intorno all’atrio, al centro del quale c’era l’impluvium con il compluvium, il tablinum ed i cubicula invernali spesso privi di finestre, e se c’erano aperture, queste erano piccole all’esterno e strombate verso l’interno, con lo scopo di catturare la luce ad illuminare la stanza, inoltre erano così alte da non permettere sguardi indiscreti, mentre nei piani superiori aperture e logge incombevano anche sulla strada.
Nelle grandi ville, però, come ad esempio le ville di Stabia, finestrature più grandi si aprivano sul panorama del golfo.
Il vetro però era costoso (Secondo l’Edictum Diocletiani, (XVI, 1-2 e 5), del 301 d.C., il calmiere dei prezzi indicava il costo del vetro a 24 denari la libra, mentre quello del Lapis Specularis a 8 denari la libra) per cui, si preferiva un materiale meno caro: la così detta petra specularis o lapis specularis.
Si tratta di un materiale naturale, “gesso” o “talco” o “vetro vulcanico” (mica) che aveva la proprietà di essere tagliato in lastrine sottili.
Queste venivano utilizzate montate su telai a maglia rettangolare o quadrata costituiti da una serie di piattine di ferro o bronzo larghe circa cm 2 nelle quali, attraverso fori, erano infilati tondini verticali che formavano un graticcio, il quale veniva irrigidito montandolo su un telaio in legno. All’interno del reticolo le lastrine erano saldate con stucco o malta.
Esaminando le notizie reperite nei diari di scavo e le descrizioni di coloro che scavarono nel ‘700 e nell’‘800, si evidenzia il fatto che per il lapis specularis c’era una grande confusione sul tipo di materiale, difatti veniva definito a volte “talco”, a volte “gesso” e a volte “mica”, ma la cosa certa era che veniva differenziato dal vetro.
Le finestre in genere avevano lastre di vetro o di lapis specularis; il vetro, infatti era stato già inventato da molti secoli, ma solo verso il I sec. d.C. era stata scoperta la tecnica che permetteva la soffiatura della massa vetrosa.
Le lastre più grandi erano invece impiegate per chiudere finestre-lucernario o oculi fissi che assicuravano luminosità agli ambienti anche pubblici come, per esempio, nelle Terme del Foro a Pompei e nelle Terme di Ercolano o nelle terme private della Villa di Diomede Pompei. Anche i peristilia avevano i portici chiusi fra le colonne da vetrate montate su telai di legno, come nella Villa dei Misteri, o vere e proprie finestre vetrate, come nel peristilio fenestrato della casa dell’Apollo Citaredo a Pompei o nella casa dell’Atrio a mosaico di Ercolano.
Si può quindi affermare che questo tipo di ricerca ha prospettato un’immagine di Pompei e di Ercolano del tutto nuova perché si è visto che le superfici vetrate erano molto diffuse, come si deduce dalle notizie degli studiosi antichi ma anche dalle quantità di lastre di lapis specularis conservate nei depositi di Pompei e del Museo Archeologico di Napoli e dalle grate di ferro che si possono osservare ancora in situ oltre a quelle conservate in deposito.
Vega Ingravallo, Maria Stella Pisapia
Pompei, Casa dell’Apollo, Citaredo. Peristilio.
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